Diagnostica di ipogei: il caso di studio di Mottola (TA) Manuela De Giorgi Università del Salento, Dipartimento di Beni Culturali, Lecce, Italia manuela.degiorgi@unisalento.it Abstract. The paper aims to present the first results of an interdisciplinary project on cave heritage in Southern Italy, focusing on the case-study of Sant’Angelo church, in Casalrotto complex (Mottola, Taranto). The main goals of the project are to enrich the archaeological and art-historical knowledge of the site on one hand, and to set a series of technical data in on-line platform on the other hand. Technical data will include analytical investigation of constituent materials of wall paintings, of execution technique and state of conservation, mapping the major phenomena of deterioration. The dataset will perform as an interactive 3D-model with two different using levels (basic and advanced, the latter addressed to scholars and with material for downloading), as well as part on a major archive on cave heritage (ArcCavHe, in progress). Keywords: cave heritage; wall-paintings; non-invasive multi-technique investigations; 3D-modelling; on-line dataset. 1 Introduzione Il villaggio rupestre di Casalrotto presso Mottola (TA) è costituito da un complesso di cripte scavate e grotte naturali, utilizzato tanto per fini abitativi quanto cultuali e funerari, come testimoniato – in particolare – dalle numerose chiese rupestri affrescate e dalla presenza di un’ampia necropoli di epoca medievale, solo in parte scavata. Fig. 1. Casalrotto presso Mottola, Taranto (© Google Maps) 141 Del complesso fa parte la chiesa di Sant’Angelo, il case-study proposto per la pilot call di IPERION (settembre 2014) col titolo di DiaCavHe (Diagnostic for Cave Heritage). Il progetto, le cui azioni previste sono state in buona parte attuate, sia con IPERION, sia col sostegno del progetto IT@CHA (fine: maggio 2015), aveva come obiettivo primario la definizione di un protocollo per la diagnostica in un contesto rupestre ove si conservino pitture murali, e da intendersi sia come fase preliminare ad interventi di restauro e risanamento conservativo, sia finalizzato alla messa a punto di una strategia manutentiva, di fruizione e di valorizzazione del bene. Fig. 2. Casalrotto presso Mottola (TA), chiesa di Sant’Angelo: ingresso alla chiesa Alla luce della letteratura nota sulla chiesa di Sant’Angelo, studi fondamentalmente di carattere archeologico (con riferimento all’intera area del villaggio rupestre ove insistono altre strutture, anche cultuali) e storico-artistico che, molto datati, reclamano da tempo un aggiornamento ora in atto, il progetto DiaCavHe ha offerto l’opportunità di integrare competenze archeologiche e storico-artistiche, istanze diagnostico- conservative ed esperienze tecnico-scientifiche differenti integrandole in una metodologia interdisciplinare, utili a declinare un ID del monumento che tenga conto di tre componenti fondamentali: 1. conoscenza del manufatto nelle sue componenti storico-artistiche e materiche; conoscenza del ‘contesto’ rupestre specifico e indagine delle dinamiche di interazione tra l’ambiente e l’oggetto; 2. una diagnostica mirata per una futura azione conservativa del monumento, anche alla luce degli effetti, in gran parte fallimentari, dei passati interventi di restauro nella cripta di Sant’Angelo, che hanno determinato una serie di reazioni a catena che hanno accelerato il processo di degrado delle pitture murali; 3. la fruizione dei dati emersi dalle azioni intraprese nell’ambito di DiaCavHe su una piattaforma di fruizione da remoto che associa alla fruizione di un 142 modello 3D di base per la conoscenza del monumento, anche la disponibilità di una prima banca dati pubblica sullo studio dei degradi del Cave Heritage. In questa sede si presentano i risultati, ancora parziali, di un lavoro sinergico che ha visto interagire diversi gruppi di ricerca nella definizione di una best practice specifica per contesti rupestri e dove il contributo del ‘digitale’ diviene componente significativa in termini di conoscenza e fruizione. 2 Sant’Angelo di Casalrotto e il progetto DiaCavHe 2.1 Lo stato dell’arte e obiettivi del progetto Il fenomeno della civiltà rupestre diviene, in epoca medievale, elemento di forte caratterizzazione culturale dell’intera area centro-meridionale della penisola italiana, per quanto spesso ritenuto in passato (e, per certi versi ancora oggi) manifestazione popolare e di poca rilevanza. In realtà esso definisce in maniera significativa il profilo di una parte rilevante del patrimonio culturale italo-meridionale, da intendersi nell’accezione più ampia di espressione storica, socio-economica, tecnologica e cultuale di una determinata area, quella italo-meridionale appunto, che però s’inserisce a pieno titolo in un panorama rupestre geograficamente molto ampio, che abbraccia l’intero bacino del Mediterraneo oltrepassandone i confini, fino al Caucaso e al Subcontinente indiano. Nell’ultimo decennio, vari sono stati i progetti di ricerca nell’ambito dello studio per la conoscenza e la conservazione del patrimonio rupestre, avviati da attori istituzionali ed enti di ricerca diversi – sia nazionali, ma soprattutto internazionali –, e investendo aree quali la Cappadocia in Turchia, il deserto di David-Garedja (nella regione georgiana del Kakheti, al confine con l’Azerbaijan) e, in misura minore, l’Italia meridionale (la cripta del Peccato Originale a Matera; il complesso di Pantalica, Siracusa; le Lame tra Monopoli e Fasano nel territorio compreso tra Bari e Brindisi) [1]. Al contrario, l’area delle Lame della provincia di Taranto, sul versante occidentale della Puglia, regione a forte vocazione rupestre, è stata finora negletta sotto questo profilo, per quanto in passato abbia goduto di una grande attenzione da parte del mondo scientifico in termini di indagine storica, archeologica e storico- artistica [2]. Nell’ottica di un progetto di indagine diagnostica con lo scopo di raccogliere informazioni che possano definire la genesi esecutiva e lo stato di conservazione del sito, gli obiettivi individuati si distribuiscono su tre assi principali. L’intento è quello di affrontare le problematiche conservative dell’opera con un approccio il più mirato possibile e, dunque, meno invasivo. I tre assi individuati sono: 1. Asse della conoscenza: conoscenza del manufatto nelle sue componenti storico-artistiche e materiche; conoscenza del ‘contesto’ rupestre specifico e indagine delle dinamiche di interazione tra l’ambiente e l’oggetto. Più nel dettaglio si 143 richiedono: 1.1. un’indagine dei materiali utilizzati nelle pitture murali (malte e pigmenti), con una prima elaborazione di una banca-dati di materiali per la Puglia e che potrebbe essere, in futuro, utilizzata per altri siti rupestri dell’Italia meridionale e via via implementata; 1.2. una definizione della tecnica utilizzata, distinguendo (in %) parti ad affresco e parti a secco. 2. Asse della conservazione e del restauro: l’azione conservativa, in parte fallimentare nella cripta di Sant’Angelo, ha determinato una serie di reazioni a catena che non hanno frenato (al contrario, pare abbiano accelerato) il processo di degrado. Nel solco di una ‘buona prassi’ pre-intervento nella codificazione di standard minimi comuni per la salvaguardia e la tutela del Cave Heritage e auspicando l’adozione di protocolli comuni, sarebbe necessario: 2.1. documentare lo stato di conservazione dei dipinti murali individuando in particolare: sollevamenti della pellicola e/o della preparazione, cadute di colore, integrazioni da restauro (antichi e/o moderni); 2.2. individuare e mappare i danni maggiormente diffusi e comprenderne l’eventuale connessione con interventi di restauro o con le condizioni igrometriche dell’ipogeo: efflorescenze saline; licheni; patine da agenti inquinanti o da depositi organici di agenti biologici (licheni e funghi); 2.3. la realizzazione di un modello virtuale dei danneggiamenti rilevati che aiuti a comprenderne la distribuzione topografica all’interno dell’invaso e la loro possibile origine. 3. Asse della manutenzione e della fruizione: I risultati della campagna diagnostica danno la possibilità di guidare il proprietario del bene nell’approntare un adeguato piano manutentivo periodico di breve e di lunga durata, nell’adottare strumentazioni adattate, p.e., per l’illuminazione della doppia cripta; mettere eventualmente a punto un sistema che consenta un corretto ricircolo dell’aria all’interno dell’invaso che tenga conto dei diversi livelli di umidità e, al contempo, che freni l’azione di corrosione e degrado delle superfici limitare il più possibile la proliferazione di sali e licheni; cercare di contenere – se possibile – la formazione di colonie di insetti. Tale pratiche, da prevedere per il futuro, potrebbero essere in questa fase facilitate da un monitoraggio micro-climatico della cripta di durata semestrale. 2.2 Storia, architettura e decorazione parietale La chiesa convenzionalmente nota col titolo di Sant’Angelo, ma la cui eponimia si deve con tutta probabilità ricondurre all’apostolo Giacomo [3], è insieme a quelle di Santa Margherita e di San Nicola, tra le più importanti non solo dell’intero complesso di Casalrotto, ma anche nel più ampio panorama della regione. Scarne sono le poche notizie storiche che riguardano il complesso rupestre, uno tra i primi tuttavia a trovare spazio nei documenti medievali più antichi che riguardano l’organizzazione monastica medievale. Una charta donationis del 1081 infatti attesta il passaggio del casale ruptum al monastero benedettino di Cava dei Tirreni e anche se ad oggi non è dimostrabile – ma verosimile – la fondazione del complesso 144 monastico già in epoca longobarda, è significativa la rilevanza che il sito assume nella diplomatica in un arco cronologico che giunge fino al XV secolo. Si tratta nella maggior parte dei casi di atti di donazioni di signori normanni prima e angioini più tardi e definiscono e chiariscono la dimensione storica, affatto secondaria, del complesso di Casalrotto e di Sant’Angelo nel panorama storico dell’Italia meridionale [4]. Nel contesto storico di epoca normanna, la chiesa di Sant’Angelo si presenta, sotto il profilo più squisitamente storico-artistico, come una sintesi delle due componenti culturali preponderanti della Terra d’Otranto: quella bizantina ellonofona e quella latina, l’una e l’altra rilevabili tanto nella facies architettonica della cripta di Sant’Angelo, quanto nel programma iconografico delle pitture parietali superstiti. Sant’Angelo, infatti, si presenta come un unicum architettonico essendo la sola chiesa rupestre sul territorio nazionale scavata su due livelli [5]. I due ipogei sono perfettamente sovrapposti su uno schema icnografico che intende richiamare la pianta monastica medio-bizantina classica della croce greca inscritta in un quadrato e tre absidi orientate. Durante la fase di escavazione il modello originario subì alcune deformazioni dovute sia alla sovrapposizione dei due livelli (p.e.: è stato eliminato del tutto il pilastro NW), sia alla necessità di seguire il fronte della lama sul quale si aprono gli accessi alla cripta. Strutturalmente sono d’interesse le emergenze archeologiche del perduto templon litoide (chiesa superiore), il movimento delle arcate cieche (chiesa superiore, lato N), e il trattamento dei due soffitti, dove si alternano un tetto a doppio spiovente con cornice a bastoncello nella navata centrale e basse crociere costolonate nelle laterali. È indubbia la funzione funeraria della chiesa inferiore, ove sono state scavate tombe medievali a deposizione singola, laddove quella superiore restava funzionale alla liturgia. Fig. 3. Casalrotto presso Mottola (TA), chiesa di Sant’Angelo: veduta della chiesa superiore e vano con la rampa di accesso alla chiesa inferiore 145 Fig. 4. Casalrotto presso Mottola (TA), chiesa di Sant’Angelo: interno della chiesa superiore (vista delle absidi) La decorazione pittorica parietale che originariamente ricopriva interamente i due invasi, oggi si conserva solo in alcuni brani, più ampi nella chiesa superiore, maggiormente compromessi sia per estensione sia per stato di conservazione in quella inferiore. Nella chiesa superiore, le parti meglio leggibili sono certamente ubicate nella zona delle absidi (ad eccezione dell’abside N, molto danneggiata) e lungo la parte di controfacciata; mentre sono più lacunose le pareti meridionale e – soprattutto – quella settentrionale, dove i pochi lacerti, non sempre identificabili per tema, si conservano a macchia di leopardo. Sono inoltre presenti diversi strati pittorici in palinsesti compositi che coprono un arco cronologico che va dal tardo XII al XIV secolo avanzato. Il programma iconografico, solo in parte ricostruibile, conferma da un lato la vocazione funeraria della chiesa, e dall’altro conduce a ipotizzare una dedicazione originaria a san Giacomo apostolo. Nella chiesa superiore, il programma pittorico alterna immagini di santi astanti a scene narrative, cristologiche e di martirio. Nel primo gruppo si segnalano in questa sede le più significative e pertinenti tanto alla tradizione iconografica bizantina più pura quanto al santolare latino [6]. È questo il caso del san Silvestro ubicato sulla parete meridionale immediatamente dopo il primo archivolto occidentale, raffigurato sia a figura intera (a sinistra), sia in scene della sua vita (a destra, organizzate su due registri), in una delle quali si potrebbe riconoscere l’imperatore Costantino per la presenza di una figurina con corona. Vicino invece all’orizzonte bizantino ed eremitico è la bella figura di San Simeone il Vecchio, lo stilita raffigurato sopra la colonna com’è consueto, collocato sulla faccia meridionale del pilastro NE. Altre figure di santi rinviano ai santi Paolo e Vito (parete destra), sant’Agostino (nel terzo archivolto, oggi fortemente frammentario); una teoria di santi martiri e vescovi lungo le pareti N e W e – forse – una raffigurazione di san Francesco sul pilastro 146 immediatamente di fronte all’ingresso alla cripta. Altre raffigurazioni isolate si rintracciano sparse sia sulle pareti, sia sulle altre facce dei pilastri: la Vergine con Bambino, san Giorgio, san Michele e via enumerando. Le scene a carattere narrativo interessano invece le absidi nel secondo archivolto meridionale, con una scena di martirio non meglio identificata e un Battesimo di Cristo. Le absidi invece ospitano il tema consueto della Deesis con il Cristo in trono al centro tra la Vergine e san Giacomo (abside meridionale); una seconda Deesis, canonica, con il Battista, è nell’abside centrale; un Cristo tra arcangeli invece si trova nell’abside sinistra [7]. Molto più compromesso, anche in termini di analisi ed interpretazione iconografica, è lo stato di conservazione delle pitture murali della chiesa inferiore. Il maggiore ristagno di umidità di risalita nell’invaso inferiore ha causato nel tempo una maggiore corruzione degli strati pittorici con una imponente perdita della componente decorativa originaria. Allo stato attuale, restano visibili solo le decorazioni dell’abside meridionale con una monumentale figura di Cristo in trono, riccamente gemmato, tra san Basilio (a sinistra) e l’apostolo Andrea (a destra), entrambi identificati da iscrizioni latine; san Pietro è raffigurato invece nella porzione sinistra del primo sottarco adiacente all’abside centrale, di alta qualità e con un cartiglio iscritto nella mano sinistra mentre la destra è benedicente, cui, in origine, doveva corrispondere l’altro Corifeo, san Paolo di cui oggi resta solo porzione dell’aureola perlinata e del volto con l’alta fronte stempiata; altri due santi, non identificabili, popolano due sottarchi nella porzione settentrionale della cripta: uno barbato con un rotulo tra le mani ed uno giovane – forse un martire – raffigurato imberbe e con la capigliatura bruna. Anche nella chiesa inferiore dovevano trovarsi scene narrative, una delle quali sopravvive sulla parete destra, con il martirio di san Bartolomeo. Fig. 5. Casalrotto presso Mottola (TA), chiesa di Sant’Angelo: interno della chiesa inferiore 147 2.3 Il profilo conservativo Il sito è stato oggetto di un recente restauro nell’ambito dei POR 2000-2006, Asse 2 – Misura 2.1 (Programma Integrato settoriale Habitat rupestre) che, se da una parte ha risolto alcuni problemi conservativi, in particolare legati alla struttura rocciosa, dall’altra ha messo in evidenza, a poco più di sei anni dalla fine del restauro, non solo l’inadeguatezza di alcuni materiali e/o soluzioni adottati nel restauro dei dipinti murali, ma anche ha accelerato il processo di disgregazione tra parti originali ed integrazioni degli strati (preparatorio e pittorico), favorendo la formazione di diffuse efflorescenze ‘a corona’ sulla pellicola, localizzate in particolar modo nelle zone meno areate dei due ambienti ipogei (lato E di entrambe le chiese). Efficace è stata invece la pulitura delle superfici dipinte, tutt’oggi apprezzabile. L’ipogeo presenta dunque due diversi profili conservativi, riferibili alla struttura architettonica e alla decorazione parietale. Il primo si connota per un diffuso stato fessurativo superficiale della roccia che tuttavia attualmente non incide sulla statica dell’edificio, né vi sono segnali di possibili slittamenti rocciosi che ne comprometterebbero la fruibilità [8]. Appare però piuttosto alto il livello di umidità interno (percepibile in estate e che s’aggrava durante la stagione invernale): esso, di grado diverso tra chiesa inferiore e chiesa superiore, è dovuto sia alle acque piovane che raggiungono e si depositano all’interno dell’invaso, sia alla presenza di una falda acquifera di tipo carsico che permea, per fratturazione, le calcilutiti e calcareniti a grana particolarmente fini costituenti la parte prevalente del bordo murgiano meridionale, creando una temporanea ritenzione idrica con genesi di sacche d’umidità e fenomeni di trasudazione della roccia. È stato invece di recente risolto il problema delle infiltrazioni piovane con la costituzione di un banco di protezione delle volte che consente la deviazione degli apporti meteorici [9]. Più preoccupante è lo stato di conservazione del tessuto pittorico. Sebbene la pulitura abbia portato alla luce nuovi brani decorativi e il consolidamento abbia permesso la stabilizzazione di buona parte dell’intonaco originale, le integrazioni a neutro, eseguite con materiali probabilmente non adeguati rispetto al contesto rupestre, hanno prodotto sia microtraumi strutturali tra l’intonaco e la preparazione originali e le integrazioni, con conseguente sollevamento dei bordi di adiacenza delle pitture; sia alterazioni con produzione di ossalati e carbossilati, in cui un ruolo determinante hanno svolto evidentemente le condizioni ambientali [10]. Per la determinazione dello stato di conservazione corrente della cripta di Sant’Angelo, sarebbe auspicabile definire una “diagnosi di contesto” dell’habitat rupestre tout court che tenga conto anche dell’interazione tra l’ambiente circostante, l’ambiente dell’invaso e la fauna (e micro-fauna) che alberga nell’interno. La presenza di una colonia di insetti non meglio identificati, p.e., sembra aver creato una serie di depositi, forse organici, su alcune superfici dell’invaso: di particolare interesse è un sottile strato di una sostanza collosa nera che ricopre il pilastro SW della chiesa inferiore, topograficamente molto vicina alla colonia stessa di insetti; considerata la proliferazione della colonia, andrebbe inoltre valutata la possibilità di un’indagine che tenga presente gli effetti di eventuali depositi organici anche sulle superfici dipinte. 148 2.4 Indagini archeologiche e diagnostiche a Sant’Angelo L’esperienza di DiaCavHe come approccio a una diagnostica integrata nel contesto rupestre di Casalrotto, e sul sito di Sant’Angelo nello specifico, ha previsto l’interazione di cinque unità di ricerca: • CNR-IBAM, Laboratorio di Topografia antica, Archeologia e Telerilevamento e Laboratorio di Geofisica per l’Archeologia che hanno indagato il territorio della necropoli circostante la chiesa e la vicina masseria con prospezioni geofisiche nell’ottica di una più puntuale e aggiornata mappa della necropoli e di eventuali strutture nel terreno. • CNR-IBAM, Laboratorio di Archeometria, Diagnostica e Conservazione che ha operato sul riconoscimento macroscopico della gamma delle coloriture e dei materiali usati nel precedente restauro; contestualmente ha provveduto a rilevare le problematiche conservative (legate sia a fattori endogeni che al recente intervento). • CNR-ISTM (sezione di Perugia) ha operato nella direzione sia del riconoscimento dei pigmenti con una serie di misure XRF in situ e micro- Raman e SERS su campioni in remoto; sugli stessi campioni saranno eseguiti anche micro-FTIR per l’individuazione di leganti e contaminanti. • CNR-INO (sezione di Firenze) ha proceduto sia nell’acquisizione di immagini fotografiche con luce visibile, ultravioletta e infrarossa, sia in una serie mirata (in aree già indagate con altre tecniche da alter UR) di misure colorimetriche. • CNR-ISTI (Pisa) ha elaborato un modello 3D che costituirà la piattaforma di fruizione primaria e secondaria. La prima da intendersi come strumento conoscitivo in remoto della scatola geometrica della cripta e della sua decorazione; il secondo livello di fruizione destinato ad un pubblico interessato specificatamente ai dati su materiali compositivi, tecnica utilizzata, tipologie del degrado, andando così ad incamerare i risultati di tutte le unità di ricerca. Non sono state previste azioni sulla struttura rocciosa di calcilutiti e calcareniti (a grana particolarmente fine) della doppia chiesa giacché i problemi già riscontrati sono stati risolti dal passato intervento di restauro [11]; in particolare: il diffuso stato fessurativo superficiale della roccia e le infiltrazioni piovane, quest’ultimo intervenendo con la costituzione di un banco di protezione delle volte che consente la deviazione degli apporti meteorici [12]. Al fine di una più capillare conoscenza della chiesa e del contesto archeologico di Casalrotto, in particolar modo dell’area intorno alla settecentesca masseria e della vicina necropoli, il CNR-IBAM (Laboratori di Topografia & Geofisica) ha condotto ricognizioni archeologiche nell’area del complesso e in quelle circostanti la chiesa, al fine di individuare i limiti dell’insediamento e le strade di accesso. La ricognizione sistematica del sito, accompagnata dal rilievo topografico (eseguito utilizzando un sistema GPS), ha evidenziato la presenza di vari vani ipogei all’estremità nord-ovest dell’insediamento, e non documentati nelle precedenti ricerche, insieme alla presenza di molti frammenti di tegole e di ceramica. Inoltre è stato individuato, all’estremità 149 nord-orientale della lama, un ambiente ipogeo con scarsi resti di pitture (forse la chiesa di Santa Maria citata da fonti medievali e costruita tra il 1155-1165). Le prospezioni geofisiche, condotte utilizzando un Georadar Impulsato Hi Mod (IDS), hanno evidenziato silos e vani ipogei pertinenti all’abitato rupestre e, soprattutto, anomalie riferibili a strutture murarie sepolte, la cui natura e tipologia potranno essere chiarita solo da saggi di scavo stratigrafico, ma per le quali si potrebbe già ipotizzare l’identificazione con la chiesa subdiale di Sant’Angelo ricordata in un documento del 1618. Una terza azione d’intervento del filone archeologico ha interessato l’area immediatamente a sud della chiesa rupestre di Sant’Angelo e che ha utilizzato un differente sistema di prospezione geofisica, costituito da un gradiometro magnetico GRAD601, scelta guidata dalla maggiore irregolarità della superficie del terreno. Le misurazioni, volte ad individuare eventuali strutture sepolte (funerarie o con altra destinazione) al fine di delineare meglio la tipologia e la funzione di quest’area prossima all’edificio religioso, non ha sortito risultati di particolare rilievo avendo evidenziato solo una concentrazione di anomalie di incerta interpretazione nell’area a sud-ovest della chiesa, la cui natura e cronologia potranno essere meglio definite solo da saggi stratigrafici. Tutte le planimetrie edite e preventivamente vettorializzate, le slices a differenti profondità che visualizzano i risultati delle prospezioni geofisiche, opportunamente georeferenziate, e i dati acquisiti mediante la ricognizione topografica e il rilievo strumentale sono confluiti in una carta archeologica vettoriale di dettaglio del sito, integrata in una piattaforma GIS, interamente progettata e sviluppata dal Laboratorio di Topografia Antica, Archeologia e Telerilevamento del CNR-IBAM [13]. Considerato il più preoccupante stato di conservazione del tessuto pittorico, una buona parte delle indagini ha riguardato le pitture murali, sia in termini di conoscenza dei materiali costitutivi, sia in riferimento alle manifestazioni di degrado, limitando le indagini ad aree scelte nei due invasi. I risultati sono però ancora parziali e riferibili prevalentemente alle sole indagini svolte in situ e solo parzialmente sui campioni in remoto. Il Laboratorio di Archeometria, Diagnostica e Conservazione del CNR-IBAM ha operato, nello specifico, con analisi comprendenti: la microscopia ottica, la microscopia elettronica, la microanalisi attraverso spettroscopia EDX, la cromatografia ionica, la spettroscopia FT-IR, volte alla identificazione mineralogico- petrografica e chimica dei materiali costitutivi e dei prodotti del degrado, nonché delle caratteristiche stratigrafiche e microstrutturali e delle variazioni di queste ultime indotte dal degrado [14]. Per la conoscenza della tecnica esecutiva, sono stati inoltre prelevati campioni dei supporti di intonaco (di concerto con le late UR), al fine di ricostruire la preparazione al di sotto degli strati pittorici, in termini di materiali utilizzati e di sequenze stratigrafiche. Data la presenza di due cicli pittorici osservati all’interno della cripta, in aggiunta sono stati effettuati prelievi allo scopo di verificare la eventuale differenziazione dei materiali utilizzati al loro interno [15]. Il prelievo dei campioni è stato inoltre orientato all’analisi del degrado in laboratorio. Diverse sono le tipologie individuate (classificazione secondo il lessico delle alterazioni UNI-Normal). Al primo piano della cripta, molte delle patologie di degrado sono apparse strettamente correlate alla presenza di malte (utilizzate in un 150 precedente restauro per la risarcitura delle lacune e per il rivestimento della parte inferiore delle pareti). I campioni prelevati sono stati sottoposti a una prima osservazione allo stereomicroscopio, con acquisizione della relativa documentazione fotografica a bassi ingrandimenti e successivamente schedati. Si è poi proceduto alla separazione dei frammenti per le diverse analisi in laboratorio e quindi alla relativa preparazione. Sono state allestite sezioni stratigrafiche lucide dei campioni delle pellicole pittoriche e sezioni stratigrafiche sottili degli intonaci e delle malte utilizzate nel restauro precedente per osservazioni in microscopia ottica con luce riflessa e luce trasmessa. Alcuni dei campioni sono stati inoltre predisposti per le analisi ESEM- EDS; campioni di intonaco e malte da restauro opportunamente selezionati sulla base dello studio petrografico sono stati preparati ed analizzati attraverso DRX su polveri, per la determinazione della composizione mineralogica degli intonaci di supporto e delle malte da restauro e per la identificazione dei prodotti di degrado. Fig. 6. Casalrotto presso Mottola (TA), chiesa di Sant’Angelo: strati pittorici e sequenza stratigrafica in sezione lucida (Dati: A. Calia, CNR-IBAM, sezione di Lecce) Lo studio del degrado in laboratorio è stato integrato con le analisi dei Sali solubili attraverso la determinazione qualitativa e quantitativa di anioni e cationi per Cromatografia Ionica. A tal fine sono stati allestiti ed analizzati campioni in soluzione acquosa, secondo la procedura UNI-Normal 11087:2003. 151 Anioni Cationi Campi Cloru Nitrat Fosf Solfat Amm Potass Magn Sodio Calcio one ri i ati i onio io esio SA 1C 2,45% 2,23% 46,86% 1,14% 0,91% 0,19% 0,15% 15,12% SA 12 0,54% 2,21% 10,52% 0,32% 1,09% 0,03% 0,39% 5,57% 0,16 SA 13 0,91% 0,83% % 1,23% 0,85% 1,02% 0,21% 0,05% 3,93% Tabella 1. Contenuto di anioni e cationi in alcuni dei campioni prelevati nella cripta (SA 1C: efflorescenza sulla malta dello zoccolo; SA 12: scaglia di malta di risarcitura da esfoliazione; SA 13: scaglia di malta di risarcitura da esfoliazione. Dati: A. Calia, CNR-IBAM, sezione di Lecce) Ancora sull’individuazione dei materiali costituivi dell’apparato pittorico sono state indirizzate le attività del CNR-INO (Firenze) e del CNR-ISTM (sezione di Perugia). I risultati del CNR-INO sulle misure colorimetriche e con microscopia portatile multispettrale per misure di fluorescenza e luminescenza UV-VIS sono ancora in fase di elaborazione. Il CNR-ISTM al momento sta elaborando dati dei micro-campioni da analizzare in remoto. Sono invece disponibili i dati XRF sulla caratterizzazione dei pigmenti. Le analisi puntuali si sono concentrate in alcune aree scelte, in particolare sullo strato pittorico dell’abside meridionale e prendendo in considerazione le campiture di colore maggiori: rossi, blu, gialli e ocre. I risultati hanno evidenziato come gli spettri cella maggior parte dei pigmenti considerati fossero perfettamente in linea con quanto comunemente si rintraccia nella pittura parietale medievale, anche rupestre, in Italia e nel bacino del Mediterraneo [16]. Fig. 7. Mappa delle misure RXF nell’abside S (Dati: CNR-ISTM, sezione di Perugia) 152 Il modello 3D, già elaborato dal CNR-ISTI di Pisa, è stato concepito non solo come mezzo di fruizione in remoto, anche come ‘raccoglitore’ di tutti i dati acquisiti e in fase di acquisizione delle UR coinvolte: dati di contesto storico-archeologico (Università del Salento; CNR-IBAM, Laboratori di Topografia & Geofisica); dati relativi alla conoscenza di materiali costituitivi e della tecnica pittorica utilizzata (CNR-IBAM, Laboratorio di Archeometria, Diagnostica e Conservazione; CNR-INO; CNR-ISTM); dati relativi al degrado (CNR-IBAM, Laboratorio di Archeometria, Diagnostica e Conservazione). L’acquisizione per l’elaborazione del modello della chiesa rupestre di Sant’Angelo (solo il rilievo 3D on site) è stata realizzata utilizzando uno scanner laser a tempo di volo (FARO 120): sono state acquisite 16 scansioni al piano superiore e 9 scansioni al piano inferiore [17]. In parallelo all’acquisizione geometrica della superficie sono state effettuate anche due differenti tipologie di riprese fotografiche: • la prima rivolta ad acquisire a media risoluzione il dato colore sull’intera estensione delle superfici interne del manufatto, con l’obiettivo di mapparlo sull’intero modello tridimensionale; • una seconda è stata invece realizzata ad alta risoluzione, con l’intento di riprendere solo alcune porzioni delle pareti interne, scelte in funzione dell’importanza e dello stato di conservazione degli affreschi. Fig. 8. Modello 3D della chiesa superiore (Elaborazione: CNR-ISTI, Pisa) 153 Fig. 9. Modello parziale realizzato con il mapping delle foto ad alta risoluzione: san Pietro, pilastro NE, chiesa inferiore (Elaborazione: CNR-ISTI, Pisa) Il modello ottenuto è stato semplificato (riduzione controllata della complessità geometrica) per produrne una versione da 20 milioni di triangoli sul quale è stato mappato il colore. Tra gli affreschi presenti ne sono stati selezionati tre per i quali sono state mappate, invece, immagini ad alta risoluzione per rendere visibili questi ultimi con il dettaglio più alto possibile. I modelli 3D saranno resi fruibili (in locale o su web) mediante un'istallazione realizzata con il tool 3DHop sviluppato dal Visual Computing Lab. Una demo per l’ancoraggio dei dati sul modello 3D è stata eseguita nel quadro di una tesi di laurea discussa a Pisa alla fine del 2015, frutto del lavoro della Dott.ssa Antonina Canzoneri. 154 2.5 Conclusioni e prospettive Il prodotto finale dell’esperienza DiaCavHe può essere recepito come un piccolo archivio anche se relativo a un solo sito e strettamente connesso alla civiltà rupestre di un’area geografica limitata che, nelle intenzioni dei gruppi di ricerca e dell’Amministrazione Comunale, sarà reso fruibile sia su una postazione in situ, sia on-line [18]. Il case-study di Sant’Angelo di Casalrotto a Mottola può costituire, in prospettiva, parte di un network più ampio sul Cave Heritage. In questa direzione, si sta valutando l’opportunità di creare una piattaforma comune del Cave Heritage per l’Italia meridionale, in cui far confluire tutti i dati relativi agli studi sul patrimonio rupestre, oggi sparsi in pubblicazioni a stampa (o in corso di stampa) [19], ma spesso non fruibili (almeno non interamente) da remoto, perché di proprietà dei rispettivi gruppi di ricerca ed enti, in un unico dataset che coinvolga singoli studiosi, istituti CNR, Università ed Enti preposti alla tutela [20]. L’area geografica italo-meridionale potrebbe altresì inserirsi nel solco del progetto Cultural Rupestrian Heritage in the Circum Mediterranean Area, allargando alla conoscenza e documentazione della pittura monumentale in contesti rupestri (lì non previsti) lo spettro delle azioni previste dalla cordata di partners coinvolti – con capofila il Dipartimento di Architettura, Disegno, Storia, Progetto dell’Università degli Studi di Firenze [21]. L’esperienza fiorentina non pare tuttavia, allo stato attuale, registrare uno stato di avanzamento significativo in questa direzione, nonostante le lodevoli intenzioni. Essa però può costituire un modello di riferimento, da implementare. Tale implementazione dovrebbe, a mio avviso, tener conto del fruitore ‘remoto’, che – nelle intenzioni di chi scrive – prevede due user-levels: un first level-user, destinato ad un più largo pubblico, che nella consultazione on-line del modello 3D avrebbe accesso a quattro usage tools: 1. schede descrittive; 2. immagini di dettaglio; 3. schede di confronto con altri siti rupestri d’interesse, nella stessa area e non; 4. strumenti bibliografici di base; l’expert level-user guarda invece ad un’utenza interessata per fini di studio e, di conseguenza, allarga il ventaglio dei tools a disposizione: 1. schede archeologiche, topografiche e storico-artistiche (di dettaglio); 2. allegati per il download (p.e.: mappe, foto, etc.); 3. schede diagnostiche; 4. allegati per il download (p.e.: spettri XRF, sezioni sottili, etc.); 5. strumenti bibliografici per il download. In questo quadro s’inserisce ArcCavHe (Archive on Cave Heritage), un dataset dove rendere disponibili i materiali (tools) individuati nei due livelli di fruizione del modello 3D, oltre a favorire la messa in comune di database già esistenti. Per il patrimonio rupestre in Puglia, si pensi al significativo contributo alla conoscenza che potrebbe giungere dall’uso e da una più ampia disseminazione tra la comunità scientifica degli archivi fotografico e documentario di Alba Medea [22], oggi conservati presso la sede romana dell’ANIMI – Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia – e la cui pubblicazione, nel ’39, del suo volume monografico sulle cripte pugliesi costituisce ancora un imprescindibile strumento bibliografico. Alba Medea, lombarda di nascita, ricevette l’incarico, nel ’32, dall’ANIMI – Società Italiana Magna Grecia (incoraggiata da Paolo Orsi e, 155 soprattutto, da Umberto Zanotti Bianco che ne furono fervidi promotori) di censire le cripte pugliesi e i loro affreschi. L’opera della Medea ha, di fatto, originato il mito degli ‘eremiti’ di Puglia, legando il fenomeno della pittura rupestre bizantina alla presunta diaspora dei monaci – cosiddetti basiliani – durante il periodo iconoclasta, in fuga da Bisanzio verso le periferie dell’Impero. Interpretazione questa oggi superata (o quasi) dalla storiografia più aggiornata. Al di là dell’interesse storico-artistico specifico, la preparazione del volume fu lunga e travagliata e documentata, per immagini e scritti (appunti, lettere, etc.) nel prezioso archivio romano. L’archivio fotografico (e documentario) di Alba Medea è il primo ‘archivio tematico’ sulla pittura bizantina rupestre della Puglia e costituisce uno snodo di capitale importanza tra la documentazione grafica e fotografica di fine Ottocento e i primi due decenni del XX secolo e quanto avrebbe poi documentato, tra anni Sessanta e gli anni Settanta, Cosimo Damiano Fonseca. Un crescendo quantitativo e qualitativo di documentazione fotografica che consente di acquisire informazioni anche sull’evolversi dello stato di conservazione di molte di quelle pitture, alcune delle quali oggi quasi illeggibili o perdute. L’archivio ‘Medea’, per quanto parziale, è comunque uno strumento di fondamentale importanza e già disponibile al grande pubblico tra gli Archivi del Novecento. (http://catalogo.archividelnovecento.it). Fig. 10. Elenco delle UA per le ‘Cripte eremitiche pugliesi’ di Alba Medea (© http://catalogo.archividelnovecento.it) 156 Poco noto, in verità anche agli addetti ai lavori: ArcCavHe avrebbe la vocazione a colmare questa lacuna, storicizzando ‘vecchi’ strumenti di lavoro e ricerca in ‘nuovi’ formati, segnando una tappa attuale di un viaggio alla scoperta di uno dei fenomeni artistici e culturali pugliesi di maggiore interesse, di recente ‘citato’ anche nel Racconto cinematografico di Matteo Garrone (2015), alla stregua della Cappadocia della Medea pasoliniana (1969). Fig. 11. Riprese in esterno, davanti alla cripta di Sant’Angelo a Casalrotto, de Il Racconto dei racconti di Matteo Garrone, (© http://www.leucaweb.it/santa_maria_di_leuca/notizie-salento/-con-il-film-il-racconto-dei- racconti-mottola-al-festival-di-cannes.php) Ringraziamenti Il progetto DiaCavHe è stato realizzato grazie ai numerosi contributi di singoli ed enti che, a vario titolo, hanno permesso la presentazione di questa prima fase del progetto: Carmela D’Auria, Onofrio Aloisio e Vito Fumarola (Mottola); Francesco Sebastio (Ufficio Tecnico, Comune di Mottola); Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Puglia (Bari), nelle persone di Rosa Stella Lorusso, Fulvia 157 Rocco e Carlo Birrozzi; CNR-IBAM (sezione di Lecce), nelle persone di Angela Calia, Valeria Campanella, Lara De Giorgi, Donato Colangiuli, Giacomo Di Giacomo, Immacolata Ditaranto, Giovanni Leucci, Maurizio Masieri, Davide Melica, Ilaria Miccoli, Gianni Quarta, Giuseppe Scardozzi; CNR-INO (sezioni di Firenze e Lecce, Arnesano), nelle persone di Elisabetta Andreassi, Raffaella Fontana, Marco Raffaelli, Luca Pezzati e Andrea Tucci; CNR-ISTI (Pisa), nelle persone di Gaia Pavoni, Marco Callieri, Matteo Dellepiane, Paolo Pingi, Marco Potenziani e Roberto Scopigno; CNR-ISTM (sezione di Perugia), nelle persone di Laura Cartechini, Costanza Miliani e Letizia Monico; OPD (Firenze), nelle persone di Cecilia Frosinini e Roberto Bellucci. Bibliografia 1 Bertelli, G., Mignozzi, M. (eds.): La grotta del Peccato Originale a Matera. Adda Editore, Bari (2013); Pantalica Patrimonio dell’Umanità: un percorso di valorizzazione e tutela. Convegno promosso dalla Camera di Commercio di Siracusa, 2014; Arte e habitat rupestre in Cappadocia (Turchia) e nell’Italia centromeridionale. Roccia, architettura scavata, pittura: fra conoscenza, conservazione, valorizzazione. PRIN 2010 (Coordinatore scientifico nazionale: Andaloro, M., Università della Tuscia, Viterbo); Menestò, E. (ed.), Quando abitavamo in grotta. Atti del I Convegno internazionale sulla civiltà rupestre. CISAM, Spoleto (2004); Menestò, E. (ed.): Le aree rupestri dell’Italia centro-meridionale nell’ambito delle civiltà italiche: conoscenza, salvaguardi, tutela. Atti del IV Convegno internazionale sulla civiltà rupestre. CISAM, Spoleto (2011). 2 Fonseca, C.D.: Civiltà rupestre in Terra Jonica. Bestetti, Milano (1970); Fonseca, C.D., D’Angela, C.: Casalrotto I. La storia – Gli scavi, Congedo Editore, Galatina (1989). 3 Falla Castelfranchi, M.: Pittura monumentale bizantina in Puglia. Electa, Milano (1991), 89. 4 Fonseca, C.D.: «in casali rupto»: una tappa della civiltà rupestre meridionale (secc. X-XIV). In: Fonseca, C.D., D’Angela, C.: Casalrotto I. La storia – Gli scavi [2], 11–25. 5 dell’Aquila, F., Messina, A.: Le chiese rupestri di Puglia e Basilicata. Mario Adda Editore, Bari (1998), 222–223. 6 Fonseca, C.D.: Civiltà rupestre in Terra Jonica [2], 166–168. 7 Diehl, C.: L’art byzantin dans l’Italie méridionale. Librairie de l’Art, Parigi (1894), 124–126; Fonseca, C.D.: Civiltà rupestre in Terra Jonica [2], 166–168; Falla Castelfranchi, M.: Per la storia della pittura bizantina in Calabria. In: Rivista Storica Calabrese, N.S., vol. VI (1985), 391. 8 Comune di Mottola, Ufficio Tecnico del Comune di Mottola: Relazione Tecnica Strutturale (novembre 2006). 9 Comune di Mottola, Ufficio Tecnico del Comune di Mottola: Relazione geologica- geotecnica-idrogeologica (novembre 2006). 10 Nonostante i ripetuti tentativi, non è stato possibile accedere alle relazioni di restauro di dettaglio per le numerose mancate risposte della ditta vincitrice dell’appalto. 11 Comune di Mottola, Ufficio Tecnico: POR 2000-2006, Asse 2 – Misura 2.1 (Programma Integrato settoriale Habitat rupestre). 12 Comune di Mottola, Ufficio Tecnico del Comune di Mottola: Relazione Tecnica Strutturale (novembre 2006). 13 Relazioni di IT@CHA (maggio 2015) a cura di G. Scardozzi e G. Leucci, Responsabili scientifici dei due gruppi di lavoro. 14 Relazione di IT@CHA (settembre 2015) a cura di A. Calia. 158 15 Indagini integrate di questo tipo sono state effettuate in passato su alcune chiede rupestri della lama lungo l’Adriatico, nell’area di Fasano, utili per un raffronto. Zezza, F.: Analisi del degrado delle pitture rupestri. In: Menestò, E. (ed.), Quando abitavamo in grotta [1], 61–82; Calia, A.: Le pitture murali di Santa Vigilia: materiali costituenti e stato di conservazione. In: Menestò, E. (ed.), Puglia tra grotte e borghi. Atti del II Convegno internazionale sulla civiltà rupestre. CISAM, Spoleto (2007), 339–359. Nella stessa area del fasanese, sono stati compiuti studi sull’influenza del microclima sullo stato di conservazione del portato pittorico: Gizzi, F.T., Geraldi, E.: Geologia e microclima in ambienti ipogei: influenza sullo stato di conservazione degli affreschi. Il caso della cripta di Santa Vigilia (Savelletri di Fasano, Brindisi). In: Menestò, E. (ed.), Puglia tra grotte e borghi. Atti del II Convegno internazionale sulla civiltà rupestre. CISAM, Spoleto (2007), 331–338. 16 Ai riferimenti nella nota precedente, si aggiungano: Baraldi, P., Pelosi, C.: Scientific methodologies for the study of the techniques and materials of the rocky wall paintings. In: Menestò, E. (ed.), Eremitismo e habitat rupestre. Atti del VI Convegno internazionale sulla civiltà rupestre. CISAM, Spoleto (2015), 351-363; Pelosi, C., Agresti, G., Andaloro, M., Baraldi, P., Pogliani, P., Santamaria, U.: The rock hewn wall paintings in cappadocia (turkey). characterization of the constituent materials and a chronological overview. In: e-Preservation Science, 10, 99-108 (2013); De Benedetto, G.E., Fico, D., Margapoti, E., Pennetta, A., Cassiano, A., Minerva, B.: The study of the mural painting in the 12th century monastery of Santa Maria delle Cerrate (Puglia-Italy): characterization of materials and techniques used. In: Journal of Raman Spectroscopy, 44, 899-904 (2013). 17 Per la Puglia, si veda Masini, N.: Metodologie di rilievo e di analisi della cultura costruttiva dell’architettura ipogea. In: Menestò, E. (ed.), Quando abitavamo in grotta [1], 97– 108. 18 Si veda, pionieristico per l’Italia meridionale, il pionieristico Gabellone, F., Limoncelli, M.: Conoscenza, valorizzazione e fruizione deli insediamenti rupestri: le chiese di S. Maria delle Croci a Matera e D. Antonio Abate a Nardò (LE). In: Menestò, E. (ed.), Le aree rupestri dell’Italia centro-meridionale nell’ambito delle civiltà italiche: conoscenza, salvaguardi, tutela [1], 411–416. 19 Si veda l’esperienza di collaborazione italo-giapponese del progetto Tebaidi del Sud Italia (http://www.opificiodellepietredure.it/index.php?it/617/progetto-tebaidi-del-sud-italia) che ha visto come protagonisti l’OPD (Firenze), la Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici della Puglia (Bari) e l’Università di Kanazawa (Centro di Ricerca sulla Pittura Murale Italiana) con alcuni contributi consultabili su http://dspace.lib.kanazawa- u.ac.jp/dspace/. 20 Proposta discussa con Carlo Birrozzi, Soprintendente per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Puglia di Bari (marzo 2015). 21 http://www.rupestrianmed.eu/index.php. 22 Medea, A., Gli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi, Roma: Collezione Meridionale («Collezione Meridionale, ser. III. Il mezzogiorno artistico»), 1939 159